i Na
Questo è un post che feci una volta sul forum di una rivista. Ogni tanto lo riguardo, perché mi aiuta a riflettere su questioni ancora aperte (per me).
da Viaggio nella Cina proibita, di Luc Richard, pg. 67-68
[...]
<< E' soltanto da pochissimo tempo che si è cominciato a sapere dell'esistenza dei Na fuori dalla Cina. In Francia, recentemente, un etnologo ha dedicato loro un libro di notevole valore. Da allora, gli articoli e i reportage si sono moltiplicati. Credendo di aver finalmente trovato una degna alternativa al soffocante predominio maschile, e cioé un modello da contrapporre al concetto insopportabile della paternità, molte femministe francesi, olandesi e americane giungono oggigiorno nella regione del Lago Lugu. Il cocktail di buddismo e "libertà sessuale" fa furore presso le sostenitrici della guerra dei sessi, per le quali l'Asia altro non è che un supermercato della cultura. Costoro vorrebbero trapiantare in occidente alcune pratiche orientali di difficile assimilazione, e lo spettacolo di questi moderni Narcisi di sesso femminile che tessono l'elogio di comunità tradizionali e di una religione fondata sulla negazione dell'io non è meno sorprendente.
Un giornalista francese è arrivato al punto di scrivere, sul supplemento del quotidiano "Le Monde" dedicato ai libri, che l'esistenza di questo popolo avrebbe rimesso in discussione la centralità della famiglia nella concezione giudaico-cristiana della sua origine. D'altronde questo era l'unico elemento dei Na che lo interessava veramente. E, come aveva spiegato benissimo Jugdu (una donna Na incontrata precedentemente dall'autore, ndemack), i Na credono da sempre che l'uomo non giochi alcun ruolo nell'atto della procreazione. Secondo loro, la donna porta dentro di sé l'"osso", lo scheletro del suo bambino, mentre l'uomo, l'amante di una notte, non c'entra nulla. Presso i Na l'assenza del concetto di paternità deriva da una credenza che, ignorando la partecipazione dell'uomo al processo della procreazione, nega la realtà.
Ciò che è indiscutibile, in compenso, è che al contrario di tutte le altre società, questa rimette in discussione l'idea del matrimonio e della famiglia come fondamento dell'ordine sociale. L'esistenza dei Na è di per sé la prova che una società di stampo tradizionale può funzionare sulla base di un modello diverso, e, come abbiamo avuto modo di constatare, può benissimo mantenersi in equilibrio.
Quando rientrammo nella stanza principale, ci stavano aspettando per mangiare. Prima di servire, la donna più anziana mise un po' di cibo sulla tavoletta di pietra dietro il focolare. Dopo mangiato, uscimmo a prendere un po' d'aria. A differenza dei villaggi han, che di notte erano immersi in un silenzio di tomba, qui vi era un certo fermento. Uomini andavano e venivano in bicicletta o si spostavano da una casa all'altra. Ai lati della strada si formavano capannelli che echeggiavano di risate. Non era certo difficile immaginare come avrebbero occupato la loro serata...>>
[...]
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Questo è un passaggio di un libro che ho avuto modo di assaporare qualche tempo fa, e che mi ha fornito un notevole numero di spunti di riflessione su molteplici argomenti. Restando negli ambiti di tale brano, le questioni di cui vorrei dibattere sono le seguenti:
1) L'Occidente sembra aver scoperto un ricchissimo giacimento culturale, in Asia. La crisi generale (o sarebbe meglio parlare di semplice "flessione"?) delle religioni occidentali ha lasciato spazio a quelle orientali, percepite maggiormente "a misura d'uomo" per l'individuo contemporaneo. Anche il massiccio flusso migratorio da est verso ovest, e la definitiva globalizzazione economica, ha fatto sì che ci imbattessimo, nella maggior parte delle occasioni per via indiretta (libri, o documentari, o racconti, o racconti di racconti, e via discorrendo), in realtà diverse dalla nostra.
E io credo che Luc Richard abbia fatto bene a utilizzare la locuzione "supermercato della cultura", perché sintetizza l'approccio della stragrande maggioranza degli occidentali dinanzi a contesti eterogenei: si è diffusa la mentalità da fast food, del mese a tema messicano o cinese, con le solite patatine e i soliti hamburger mascherati. L'idea stessa che si ha dei tibetani - popolo dai più considerato come mansueto, ma che in realtà possiede una storia costellata di atrocità e orgoglio - penso costituisca ulteriore prova di tutto questo.
2) Spesso abbiamo dei concetti standardizzati dei vari popoli terrestri. Io stesso ho commesso l'errore di ritenere i cinesi "gente dagli occhi a mandorla, numerosa, oppressa da un sistema centrale pseudocomunista" e stop. Invece, in Cina (che, come mi ha fatto notare l'agnellino, era - ed è - un impero) coesistono miriadi di culture variegate, roba da far impallidire la "questione italiana" (che, lasciatemelo dire, viene veramente tirata per le lunghe).
3) In un mondo dominato dalla centralità del maschio e dall'importanza della famiglia patriarcale e "ristretta", (soprav)vivono anche differenti società, aliene ai nostri usi e costumi, che spesso esulano dalla nostra comprensione. Il modello dei Na si basa sulla preminenza della donna (non è comunque l'unico popolo ad avere questa attitudine, naturalmente), su un concetto di famiglia estremamente "allargata" (sebbene l'incesto sia riconosciuto come atto ripugnante), nella quale nessuno conosce di quale uomo discenda. Letterale applicazione della massima "mater semper certa est, pater numquam", insomma.
L'autore riconosce che la cultura Na si basa su una "negazione della realtà"; sebbene non sia in grado di quantificarli, io credo che numerose "negazioni della realtà" siano diffuse anche nel resto del mondo. Anche il concetto secondo il quale spesso e volentieri riteniamo "naturale" un certo comportamento (ad esempio la promiscuità sessuale cui anela il maschio), è stato, in una certa misura, smentito dalla realtà dei fatti (l'uomo non è una macchina con funzioni e comportamenti preimpostati; più precisamente lo rivelano recenti studi sul cervello umano). E, allora, non ci resta che arrenderci alle contingenze storico-geografiche, o è davvero possibile giungere ad un qualcosa di assoluto?
da Viaggio nella Cina proibita, di Luc Richard, pg. 67-68
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<< E' soltanto da pochissimo tempo che si è cominciato a sapere dell'esistenza dei Na fuori dalla Cina. In Francia, recentemente, un etnologo ha dedicato loro un libro di notevole valore. Da allora, gli articoli e i reportage si sono moltiplicati. Credendo di aver finalmente trovato una degna alternativa al soffocante predominio maschile, e cioé un modello da contrapporre al concetto insopportabile della paternità, molte femministe francesi, olandesi e americane giungono oggigiorno nella regione del Lago Lugu. Il cocktail di buddismo e "libertà sessuale" fa furore presso le sostenitrici della guerra dei sessi, per le quali l'Asia altro non è che un supermercato della cultura. Costoro vorrebbero trapiantare in occidente alcune pratiche orientali di difficile assimilazione, e lo spettacolo di questi moderni Narcisi di sesso femminile che tessono l'elogio di comunità tradizionali e di una religione fondata sulla negazione dell'io non è meno sorprendente.
Un giornalista francese è arrivato al punto di scrivere, sul supplemento del quotidiano "Le Monde" dedicato ai libri, che l'esistenza di questo popolo avrebbe rimesso in discussione la centralità della famiglia nella concezione giudaico-cristiana della sua origine. D'altronde questo era l'unico elemento dei Na che lo interessava veramente. E, come aveva spiegato benissimo Jugdu (una donna Na incontrata precedentemente dall'autore, ndemack), i Na credono da sempre che l'uomo non giochi alcun ruolo nell'atto della procreazione. Secondo loro, la donna porta dentro di sé l'"osso", lo scheletro del suo bambino, mentre l'uomo, l'amante di una notte, non c'entra nulla. Presso i Na l'assenza del concetto di paternità deriva da una credenza che, ignorando la partecipazione dell'uomo al processo della procreazione, nega la realtà.
Ciò che è indiscutibile, in compenso, è che al contrario di tutte le altre società, questa rimette in discussione l'idea del matrimonio e della famiglia come fondamento dell'ordine sociale. L'esistenza dei Na è di per sé la prova che una società di stampo tradizionale può funzionare sulla base di un modello diverso, e, come abbiamo avuto modo di constatare, può benissimo mantenersi in equilibrio.
Quando rientrammo nella stanza principale, ci stavano aspettando per mangiare. Prima di servire, la donna più anziana mise un po' di cibo sulla tavoletta di pietra dietro il focolare. Dopo mangiato, uscimmo a prendere un po' d'aria. A differenza dei villaggi han, che di notte erano immersi in un silenzio di tomba, qui vi era un certo fermento. Uomini andavano e venivano in bicicletta o si spostavano da una casa all'altra. Ai lati della strada si formavano capannelli che echeggiavano di risate. Non era certo difficile immaginare come avrebbero occupato la loro serata...>>
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Questo è un passaggio di un libro che ho avuto modo di assaporare qualche tempo fa, e che mi ha fornito un notevole numero di spunti di riflessione su molteplici argomenti. Restando negli ambiti di tale brano, le questioni di cui vorrei dibattere sono le seguenti:
1) L'Occidente sembra aver scoperto un ricchissimo giacimento culturale, in Asia. La crisi generale (o sarebbe meglio parlare di semplice "flessione"?) delle religioni occidentali ha lasciato spazio a quelle orientali, percepite maggiormente "a misura d'uomo" per l'individuo contemporaneo. Anche il massiccio flusso migratorio da est verso ovest, e la definitiva globalizzazione economica, ha fatto sì che ci imbattessimo, nella maggior parte delle occasioni per via indiretta (libri, o documentari, o racconti, o racconti di racconti, e via discorrendo), in realtà diverse dalla nostra.
E io credo che Luc Richard abbia fatto bene a utilizzare la locuzione "supermercato della cultura", perché sintetizza l'approccio della stragrande maggioranza degli occidentali dinanzi a contesti eterogenei: si è diffusa la mentalità da fast food, del mese a tema messicano o cinese, con le solite patatine e i soliti hamburger mascherati. L'idea stessa che si ha dei tibetani - popolo dai più considerato come mansueto, ma che in realtà possiede una storia costellata di atrocità e orgoglio - penso costituisca ulteriore prova di tutto questo.
2) Spesso abbiamo dei concetti standardizzati dei vari popoli terrestri. Io stesso ho commesso l'errore di ritenere i cinesi "gente dagli occhi a mandorla, numerosa, oppressa da un sistema centrale pseudocomunista" e stop. Invece, in Cina (che, come mi ha fatto notare l'agnellino, era - ed è - un impero) coesistono miriadi di culture variegate, roba da far impallidire la "questione italiana" (che, lasciatemelo dire, viene veramente tirata per le lunghe).
3) In un mondo dominato dalla centralità del maschio e dall'importanza della famiglia patriarcale e "ristretta", (soprav)vivono anche differenti società, aliene ai nostri usi e costumi, che spesso esulano dalla nostra comprensione. Il modello dei Na si basa sulla preminenza della donna (non è comunque l'unico popolo ad avere questa attitudine, naturalmente), su un concetto di famiglia estremamente "allargata" (sebbene l'incesto sia riconosciuto come atto ripugnante), nella quale nessuno conosce di quale uomo discenda. Letterale applicazione della massima "mater semper certa est, pater numquam", insomma.
L'autore riconosce che la cultura Na si basa su una "negazione della realtà"; sebbene non sia in grado di quantificarli, io credo che numerose "negazioni della realtà" siano diffuse anche nel resto del mondo. Anche il concetto secondo il quale spesso e volentieri riteniamo "naturale" un certo comportamento (ad esempio la promiscuità sessuale cui anela il maschio), è stato, in una certa misura, smentito dalla realtà dei fatti (l'uomo non è una macchina con funzioni e comportamenti preimpostati; più precisamente lo rivelano recenti studi sul cervello umano). E, allora, non ci resta che arrenderci alle contingenze storico-geografiche, o è davvero possibile giungere ad un qualcosa di assoluto?
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