lunedì, agosto 15, 2005

Il ritiro da Gaza

Si tratta di un'operazione delicata sotto più fronti: a) la gestione dei coloni da far traslocare; b) la gestione dell'immagine politica del premier Sharon; c) la gestione delle ingerenze di balordi palestinesi nei confronti del ritiro; d) hamas.

A) La resistenza oltranzista di 9000 coloni (ai quali deve essere aggiunta anche la moltitudine di militanti di estrema destra accorsi per l'occasione) creerà sicuramente grattacapi ai militari, che interverranno casa per casa. Ancora oggi non si sa con precisione quanto tempo sia necessario alla smobilitazione: si prevedono dalle due alle tre settimane ma col beneficio del dubbio.

B) Sharon deve fronteggiare l'ira dei resistenti "arancioni", per lo più composti da religiosi. Ma la protesta non si ferma solo in tale ambito (comunque vasto, parlando d'Israele): manifestazioni con ampio consenso non si sono viste soltanto nella santa Gerusalemme, ma anche nella laica Tel Aviv, con una partecipazione popolare nell'ordine di alcune centinaia di migliaia di aderenti.
Inoltre la spaccatura all'interno del Likud restituisce un altro pretendente alla presidenza: Netanyahu, esponente politico ancora più a destra dell'attuale premier Sharon. Il quale, a sua volta, preferisce una più rischiosa corsa alle primarie all'interno del partito piuttosto che fondare una nuova forza politica centrista con alleati Peres e Lapid.

C) Il rapimento di un tecnico della tivù francese va ad inserirsi nel quadro confusionario della situazione. Sicuramente sparuti gruppi di palestinesi esaltati contribuiranno all'entropia generale di quell'area.

D) Hamas e gran parte dell'opinione pubblica palestinese ritiene il ritiro dalla Striscia solo il prodromo di una "reconquista" totale di Gerusalemme, obiettivo che reputano da perseguire senza compromessi. Ecco, è questo il punto che mi genera maggiori preoccupazioni: e se l'operazione non servisse a niente?
Da ottobre, la palla passerà inevitabilmente ad Abu Mazen. Vedremo cosa succederà.