Nubi all'orizzonte
Le dichiarazioni di Marcello Pera al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini appaiono in tutta la loro crudezza come il manifesto della rinascita culturale (o sarebbe più corretto affermare che costituiscono la galvanizzata celebrazione di un ritrovato consenso?) di quella parte di società che si identifica (o, per lo meno, simpatizza) nei valori e nella morale assolutistici propugnati dalla Chiesa e da un gran numero di cattolici più o meno pensanti. In quest'ultimo anno l'ideologia religiosa ha riguadagnato gran parte del terreno perduto in seguito ai pesanti colpi di ideologie concorrenti e gravi crimini prima, e vuoto siderale dopo.
Sono dell'idea che lo stesso "vuoto" (inteso come assenza di una precisa coscienza morale e culturale) promulgato dalle ultime generazioni e guardato con orrore dai più, con la sua predisposizione all'esaltazione momentanea, abbia preparato il campo per un revival di tal sorta. Sia ben chiaro: non è che prima non si dicessero cose del genere o non si agisse in questa maniera. La questione è sorta nell'istante in cui tale corrente di pensiero ha acquistato un consenso massivo, una copertura mediatica e derivante rilevanza politica ben più ampi rispetto al passato.
Esplicativa in tal senso l'esperienza di Francesco Rutelli: da pupillo di Marco Pannella, da acceso promulgatore di lotte radicali, a esponente centrista sensibile al clero e agli elettori cattolici. Un vero opportunista, che ha fiutato nell'aria il cambiamento di rotta e che ha tentato di volgere la situazione in suo favore per le prossime elezioni, promuovendo l'assenteismo ai referendum di giugno e rifiutandosi di avallare un documento comune all'interno del centro-sinistra dichiarante la tutela della legge 194 (quella sull'aborto) come patrimonio della coalizione. Dovrebbe esser presente pure al Meeting di Rimini.
Dopo Follini e Casini, anche Pera rileva l'esigenza di un ruolo più attivo della religione (cattolica, of course) negli affari politici e pubblici in generale: "Fino a quanto si può relegare la religione nel privato, isolarla dalla politica, confinarla nella gabbia della soggettività?". Risposta: fino a che essa non offusca i valori democratici di una nazione laica. Fino a che non si impone una visione delle cose esclusivamente basata su princìpi assolutistici, secondo i quali esiste un solo sistema di riferimento con un solo verso positivo.
Ovviamente Pera e i suoi intendono varcare tali limiti: "C’è ancora chi crede che la democrazia sia la faccia istituzionale del relativismo morale. Questo è un errore pericoloso. Una democrazia relativista è vuota, ci fa perdere identità collettiva e ci priva di qualunque senso obiettivo del bene". Cosa sarebbe il relativismo cui si riferisce Pera? "La dottrina per la quale tutte le culture sono uguali, che non si possono comparare e non si possono porre su alcuna scala per giudicare se una è meglio dell'altra". Ecco! A questo puntano i neoteoconservatori: giudicare per giustificare qualsiasi idea, atteggiamento, o azione promossa "in nome di" un valore ritenuto arbitrariamente più alto.
La strategia è sempre la stessa: si denuncia una situazione di crisi (in questo caso culturale - che c'è, è innegabile), si demonizza l'ideologia avversaria distorcendola e svuotandola di contenuto, e si propone la ricetta. Il relativismo culturale è anzitutto uno strumento gnoseologico, volto alla conoscenza e alla comprensione di determinati contesti basato sulla premessa dell'universalità della cultura e della particolarità di ogni singola realtà. Non sposta il problema su un piano ontologico, né pone le cose in una prospettiva finalistica. Non annichilisce l'identità di chi indaga, né mira alla demolizione di una morale, sebbene questo sia accaduto. Il relativismo porta un effetto collaterale: poiché si assume come ipotesi la specificità di ogni realtà, si tende a valutare tali realtà come a tenuta stagna, come se tra più culture non potesse aver luogo una reciproca influenza. Ma ciò si supera mediante una riflessione aggiuntiva, non attraverso proclami assolutistici di dubbia onestà.
"Tanti laicisti, liberali, socialisti, comunisti e anche qualche cattolico cosiddetto 'adulto' hanno provato a dare un violento colpo di forbice ai valori: ora si accarezzano la guancia per lo schiaffo ricevuto al referendum". Secondo Pera e i suoi, la prova più convincente del rinascimento cattolico sarebbe il mancato quorum ai referendum sulla procreazione assistita.
Un assunto del genere ha delle basi a mio avviso debolissime: nessuno degli astensionisti sa quantificare con precisione il successo del loro messaggio, proprio perché è impossibile capire quanti abbiano deciso di non recarsi alle urne per consapevole scelta politica, per mero disinteresse, o per ignoranza. Si sfrutta un risultato che non si sa bene quale sia, e lo si erge ad emblema della restaurazione della religiosità. E' una strada oggettivamente pericolosa e disonesto è chi la percorre.
Mario Monti, sull'Espresso di alcune settimane fa, etichettò i movimenti antieuropeisti della LegaNord come followership, in contrapposizione al ruolo di leadership che dovrebbe svolgere ogni partito politico. Si cavalcano gli umori delle masse al fine di ottenere facili consensi, senza indicar loro una via da seguire. Credo che Pera si stia comportando alla stessa maniera: esprime i topoi del suo pubblico, badando più all'opinione che alla realtà oggettiva dei fatti. Ironia vuole che anche questo, nel suo piccolo, sia relativismo. Non quello di Herskovits, certo, ma quello più antico di Protagora.
L'Europa, si diceva. "In Europa si evitano di menzionare nella Costituzione le radici giudaico-cristiane, si condanna un politico (Rocco Buttiglione), anche se si dichiara rispettoso della legge pubblica, perché sull'omosessualità afferma i suoi convincimenti morali cristiani".
Nella Costituzione non si evitano soltanto le radici giudaico-cristiane, bensì anche quelle greche e quelle romane. Menzionarle non avrebbe avuto senso alcuno.
Andiamo a guardare il trattato. Nel Preambolo alla Parte II, quella sui diritti fondamentali dei cittadini dell'Unione, si esplicitano i punti di contatto tra i valori dei Paesi Membri:
"Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e
universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul
principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua
azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia."
Questi sono i princìpi etici dell'UE; se poi alcuni di essi sono frutto della cristianità è un fatto secondario, superfluo ai fini del discorso: quello di affermare una condotta morale comune in Europa.
Pera affonda: "In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta all'immigrazione incontrollata e si diventa meticci". A me risulta che il cristianesimo a Roma non sia sorto spontaneamente, ex abrupto, ma sia giunto da fuori. Che abbia adottato delle forme di paganesimo, mischiandosi alle popolazioni italiche. Bene il monito ad una più controllata immigrazione, ad una più sensata convivenza sociale; male il senso reale del discorso: chiudere gli occhi dinanzi alla diversità, piegare la democrazia alla religiosità.
Sono dell'idea che lo stesso "vuoto" (inteso come assenza di una precisa coscienza morale e culturale) promulgato dalle ultime generazioni e guardato con orrore dai più, con la sua predisposizione all'esaltazione momentanea, abbia preparato il campo per un revival di tal sorta. Sia ben chiaro: non è che prima non si dicessero cose del genere o non si agisse in questa maniera. La questione è sorta nell'istante in cui tale corrente di pensiero ha acquistato un consenso massivo, una copertura mediatica e derivante rilevanza politica ben più ampi rispetto al passato.
Esplicativa in tal senso l'esperienza di Francesco Rutelli: da pupillo di Marco Pannella, da acceso promulgatore di lotte radicali, a esponente centrista sensibile al clero e agli elettori cattolici. Un vero opportunista, che ha fiutato nell'aria il cambiamento di rotta e che ha tentato di volgere la situazione in suo favore per le prossime elezioni, promuovendo l'assenteismo ai referendum di giugno e rifiutandosi di avallare un documento comune all'interno del centro-sinistra dichiarante la tutela della legge 194 (quella sull'aborto) come patrimonio della coalizione. Dovrebbe esser presente pure al Meeting di Rimini.
Dopo Follini e Casini, anche Pera rileva l'esigenza di un ruolo più attivo della religione (cattolica, of course) negli affari politici e pubblici in generale: "Fino a quanto si può relegare la religione nel privato, isolarla dalla politica, confinarla nella gabbia della soggettività?". Risposta: fino a che essa non offusca i valori democratici di una nazione laica. Fino a che non si impone una visione delle cose esclusivamente basata su princìpi assolutistici, secondo i quali esiste un solo sistema di riferimento con un solo verso positivo.
Ovviamente Pera e i suoi intendono varcare tali limiti: "C’è ancora chi crede che la democrazia sia la faccia istituzionale del relativismo morale. Questo è un errore pericoloso. Una democrazia relativista è vuota, ci fa perdere identità collettiva e ci priva di qualunque senso obiettivo del bene". Cosa sarebbe il relativismo cui si riferisce Pera? "La dottrina per la quale tutte le culture sono uguali, che non si possono comparare e non si possono porre su alcuna scala per giudicare se una è meglio dell'altra". Ecco! A questo puntano i neoteoconservatori: giudicare per giustificare qualsiasi idea, atteggiamento, o azione promossa "in nome di" un valore ritenuto arbitrariamente più alto.
La strategia è sempre la stessa: si denuncia una situazione di crisi (in questo caso culturale - che c'è, è innegabile), si demonizza l'ideologia avversaria distorcendola e svuotandola di contenuto, e si propone la ricetta. Il relativismo culturale è anzitutto uno strumento gnoseologico, volto alla conoscenza e alla comprensione di determinati contesti basato sulla premessa dell'universalità della cultura e della particolarità di ogni singola realtà. Non sposta il problema su un piano ontologico, né pone le cose in una prospettiva finalistica. Non annichilisce l'identità di chi indaga, né mira alla demolizione di una morale, sebbene questo sia accaduto. Il relativismo porta un effetto collaterale: poiché si assume come ipotesi la specificità di ogni realtà, si tende a valutare tali realtà come a tenuta stagna, come se tra più culture non potesse aver luogo una reciproca influenza. Ma ciò si supera mediante una riflessione aggiuntiva, non attraverso proclami assolutistici di dubbia onestà.
"Tanti laicisti, liberali, socialisti, comunisti e anche qualche cattolico cosiddetto 'adulto' hanno provato a dare un violento colpo di forbice ai valori: ora si accarezzano la guancia per lo schiaffo ricevuto al referendum". Secondo Pera e i suoi, la prova più convincente del rinascimento cattolico sarebbe il mancato quorum ai referendum sulla procreazione assistita.
Un assunto del genere ha delle basi a mio avviso debolissime: nessuno degli astensionisti sa quantificare con precisione il successo del loro messaggio, proprio perché è impossibile capire quanti abbiano deciso di non recarsi alle urne per consapevole scelta politica, per mero disinteresse, o per ignoranza. Si sfrutta un risultato che non si sa bene quale sia, e lo si erge ad emblema della restaurazione della religiosità. E' una strada oggettivamente pericolosa e disonesto è chi la percorre.
Mario Monti, sull'Espresso di alcune settimane fa, etichettò i movimenti antieuropeisti della LegaNord come followership, in contrapposizione al ruolo di leadership che dovrebbe svolgere ogni partito politico. Si cavalcano gli umori delle masse al fine di ottenere facili consensi, senza indicar loro una via da seguire. Credo che Pera si stia comportando alla stessa maniera: esprime i topoi del suo pubblico, badando più all'opinione che alla realtà oggettiva dei fatti. Ironia vuole che anche questo, nel suo piccolo, sia relativismo. Non quello di Herskovits, certo, ma quello più antico di Protagora.
L'Europa, si diceva. "In Europa si evitano di menzionare nella Costituzione le radici giudaico-cristiane, si condanna un politico (Rocco Buttiglione), anche se si dichiara rispettoso della legge pubblica, perché sull'omosessualità afferma i suoi convincimenti morali cristiani".
Nella Costituzione non si evitano soltanto le radici giudaico-cristiane, bensì anche quelle greche e quelle romane. Menzionarle non avrebbe avuto senso alcuno.
Andiamo a guardare il trattato. Nel Preambolo alla Parte II, quella sui diritti fondamentali dei cittadini dell'Unione, si esplicitano i punti di contatto tra i valori dei Paesi Membri:
"Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e
universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul
principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua
azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia."
Questi sono i princìpi etici dell'UE; se poi alcuni di essi sono frutto della cristianità è un fatto secondario, superfluo ai fini del discorso: quello di affermare una condotta morale comune in Europa.
Pera affonda: "In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta all'immigrazione incontrollata e si diventa meticci". A me risulta che il cristianesimo a Roma non sia sorto spontaneamente, ex abrupto, ma sia giunto da fuori. Che abbia adottato delle forme di paganesimo, mischiandosi alle popolazioni italiche. Bene il monito ad una più controllata immigrazione, ad una più sensata convivenza sociale; male il senso reale del discorso: chiudere gli occhi dinanzi alla diversità, piegare la democrazia alla religiosità.
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