martedì, febbraio 07, 2006

Periferie, arte del costruire e pensieri sparsi

Rieccomi qui. Sono stato assente non per una fastidiosa mancanza di ispirazione. Brutto periodo.

dal Corriere del Mezzogiorno del 07/02/2006, pagina 3
Domani sera sulla tv araba in onda il documentario girato nella banlieue di Napoli

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I suoi occhi abituati ad altri scenari e «campi di battaglia» come hanno attraversato Scampia?

«Scampìa è l'emblema delle periferie del Mediterraneo costruite non per l'uomo ma contro la misura dell'uomo. Quei blocchi di spazio senza nessun servizio non favoriscono la vita ma la ingabbiano. I palazzi sono solo alti, ma l'altezza non è spazio. Certo è un problema comune a tutte le periferie, penso alle banlieues parigine, ma quello che le accomuna è la mancanza di servizi e l'isolamento totale che le taglia fuori da ogni vivibilità. Nei paesi arabi non è così: i quartieri periferici conservano le case basse a due piani, hanno un aspetto meno alienante anche se condividono con Scampia e le altre periferie metropolitane gli stessi problemi, dalla mancanza di lavoro alla criminalità. Ma ci sono anche esempi positivi di quartieri popolari: penso alla Garbatella di Roma, dove abbiamo girato l'altra parte del documentario».

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Gropius scriveva, nel manifesto della sua Bauhaus, che il "fine ultimo di tutte le arti visive è l'edificio completo". Solo nel costruire potevano realizzarsi compiutamente i più nobili scopi di pittura, scultura e architettura. L'emblema, una cattedrale sormontata da tre stelle (rappresentanti, appunto, le tre arti sopracitate), costituiva la "gesamtkunstwerk" (l'opera d'arte totale) che avrebbe sancito il pieno raggiungimento degli intenti.

Il costruire era considerato all'epoca come un'attività in grado di conciliare lavoro manuale e lavoro intellettuale, sorretta da un socialismo di fondo: l'edificio diveniva il punto d'incontro tra individui di classi differenti.
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Ultimamente in facoltà è stata allestita una mostra sull'architettura colombiana degli ultimi venticinque anni: mi ha molto affascinato come, un Paese originariamente privo di infrastrutture, se ne sia operosamente dotato in un lasso di tempo così breve, rimanendo lontano da tentazioni metropolitane orientali (palazzoni anonimi posti l'uno di fianco all'altro).
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Lo ammetto: ammiro l'architettura fascista; non tanto per il suo gusto estetico, o per il suo senso dello spazio, quanto piuttosto per la sua spinta riformatrice così capillarmente diffusa su tutta la penisola. Tanti italiani si sono trovati nella situazione di concepire, modellare ed infine di infondere la vita ai luoghi nei quali avrebbero trascorso gran parte della loro esistenza: uffici, stazioni, teatri.
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Tornando all'argomento primario, emerge la necessità di una nuova codifica delle infrastrutture urbane e di interi quartieri residenziali. Auspico il ritorno di una stagione dedita alla costruzione, con criteri razionali, a misura d'uomo e d'ambiente.
Condivido l'idea di un'architettura vissuta in senso catartico e pedagogico dai suoi fruitori.

Torino 2006, la terza linea metropolitana di Napoli, li interpreto come segni favorevoli.