domenica, dicembre 18, 2005

Una riforma carceraria interessante

da National Geographic Italia, dicembre 2005, pagina 107, pagina 110

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A riprova della capacità di adattamento del Buddhismo, la stessa tecnica di meditazione che seguo io è diventata il punto di forza di un innovativo programma di riforma carceraria che sta prendendo piede in tutta l'India.
<<Non sto scontando una pena, sto facendo vipassana>>, dice il detenuto Hyginus Udegbe. Da quattro anni e mezzo il nigeriano Hyginus è trattenuto nel complesso carcerario di Tihar, a New Delhi, in attesa di processo per possesso di cocaina. E' una delle prigioni più grandi dell'Asia ed ospita quasi 13mila detenuti, oltre il doppio della sua capacità. Il sovraffollamento, le condizioni igieniche inadeguate e un personale che a volte opprime i prigionieri trattandoli in modo disumano, ne fanno un vero e proprio inferno.
Ma per Hyginus e per migliaia di altri detenuti indiani, la pratica del vipassana ha trasformato il carcere in un'oasi di riflessione e riabilitazione. In una sezione della Prigione n.4, destinata a sede di ritiro, ogni due settimane ha luogo una sessione ogni dieci giorni. I prigionieri possono ripeterla ogni tre mesi, e molti lo fanno.
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<<Dopo il mio primo ritiro qui>>, dice Hyginus, <<mi è calata la pressione, e ho dormito dieci ore. Ero irascibile, e adesso mi sento tranquillo e pacifico come una colomba. Sono molto più felice>>.

Mi colpisce ancora di più quel che mi dice un uomo che fa il secondino a Tihar da 14 anni, e ha fatto tre ritiri qui, tutti volontari. <<Volevo semplicemente provare di persona questo vipassana di cui avevo sentito parlare>>, dice. <<Prima di andare in ritiro picchiavo i prigionieri, lo stress faceva di me un mostro. Dopo, mi sono sentito più umano>>. Adesso i prigionieri si rivolgono a lui per chiedere consiglio.

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<<Siamo tutti prigionieri, della nostra mente>>, afferma l'insegnante di meditazione birmano (ed ex uomo d'affari) Satya Narayan Goenka, ottantenne, promotore del ritorno del vipassana in India. <<Quale luogo più adatto per capirlo che qui dietro le sbarre?>>. E così, gruppo di meditazione si riuniscono regolarmente nelle prigioni di tutto il mondo. Gli studi dimostrano che con queste pratiche i prigionieri soffrono meno, e infliggono meno sofferenze agli altri.
<<Io non insegno Buddhismo>>, dichiara con voce baritonale Goenka quando vado a trovarlo nella sua casa di Mumbai. [...] <<Vipassana significa "vedere le cose come sono davvero". Dopo aver tenuto sotto osservazione il respiro per qualche giorno, cominci a fare più attenzione alle tue sensazioni. E presto ti rendi conto di essere ossessionato dalla bramosia, per il cibo, il calore, ogni sorta di desideri, e dall'avversione per le cose spiacevoli. Poi comprendi che tutto questo è transitorio. Tutto cambia. Dalla comprensione di queste semplici cose, che ogni persona, a cominciare dal Buddha, scopre da sé, discende poi un'intera dottrina>>.

giovedì, dicembre 15, 2005

La Casa della Legalità ( Genova ) chiede aiuto

Ricevo il seguente appello:

Adesso chiediamo aiuto.

Non pensavamo che le minacce e le intimidazioni di chiaro stampo mafioso avessero così presa sulla comunità in cui viviamo. Non pensavamo che
intraprendere la strada di costruzione di uno spazio aperto di impegno civile per la legalità e la giutizia sociale nel contrasto alle mafie, per la promozione della coscienza civile e della cultura, con attività sempre gratuite di gioco e divertimento pulito fosse così irta di contrasto netto e deciso della criminalità organizzata presente storicamente in questa porzione di città.

Abbiamo sbagliato valutazione, pensavamo che rispondendo a minacce e intimidazioni avremmo trovato sostegno e appoggio nella popolazione. Non è stato così, alla minaccia "vi facciamo chiudere" è seguita la pratica: le persone non entrano, hanno paura. Solo quando vi sono iniziative arrivano
persone da fuori quartiere, a volte non arriva nessuno.

Abbiamo resistito e cerchiamo di resistere ostinatamente perchè cedere vorrebbe dire "hanno vinto loro". Per questo con il sostegno determinante della Fondazione Antonino Caponnetto abbiamo attivato l'Osservatorio sulla Criminalità e le Mafie, abbiamo lanciato sia in sede, sia con volantini, sia attraverso il web, un'azione di informazione sulla presenza della criminalità organizzata delle diverse mafie a Genova, sui loro settori di attività, sulle vecchie e nuove pratiche di azione. Abbiamo visto che il muro inizia sgretolarsi e persone a conoscenza di fatti e nomi inizia a parlare, testimoniare e collaborare ufficialmente con le autorità competenti.

Abbiamo trovato un grande aiuto dai ragazzi, giovani e non, della Ludoteca Labyrinth che hanno deciso di venire qui da noi per rispondere alle minacce
mafiose e spingere la gente ad entrare ed assaporare il gioco come canale di conoscenza, incontro e divertimento e non come azzardo o scommessa.

Abbiamo avuto sostegno da amici artisti che sono venuti e torneranno a suonare per invitare i ragazzi come gli adulti ad entrare.

Ma, tolti gli appunatamenti occasionali, la gente non entra. Diventa impossibile far fonte alle poche (500€ mensili), ma irrinunciabili, spese per mantenere aperto questo spazio (luce, riscaldamento, acqua, telefono).

Abbiamo presentato diversi progetti e presenteremo la prossima settimana altri, per chiedere alle Istituzioni locali di sostenere i progetti e le attività di Educazione alla Legalità e Giustizia Sociale, per promuovere la coscienza civile e la cultura nel solco della nostra Costituzione e per contrastare alla radice la cultura mafiosa, per offrire ai ragazzi ed alle ragazze risposte concrete alla carenza di spazi e di socialità che lascia il campo al degrado ed alla devianza. Speriamo le risposte siano positive, ma rischiano di arrivare troppo tardi.

Il sostegno visibile e concreto chiesto per la Casa della Legalità di Genova da Elisabetta Caponnetto e Rita Borsellino con la lettera aperta di settembre, sembra essere caduta nel vuoto.

Siamo ad un bivio: o chiudere e rinunciare ammettendo la sconfitta e stroncando sul nascere quel risveglio della coscienza civile nel contrasto
ad un'illegalità diffusa e intrisa di mafie, oppure resistere ancora, ma per questo serve il vostro aiuto, serve che ci aiutiate a questa resistenza.

Vi chiediamo un contributo, anche piccolo, e di diffondere questa richiesta di aiuto a tutti quanti vogliate e possiate estendere questo nostro appello.

Grazie, comunque e a presto.

la Casa della Legalità di Genova
Christian Abbondanza
Simonetta Castiglion

PER LE SOTTOSCRIZIONI E' ATTIVO IL CONTO BANCARIO INTESTATO ALLA
"CASA DELLA LEGALITA' E DELLA CULTURA»
Banco di Sardegna - Filiale I di Genova
conto n° 70032649 - abi 01015 - cab 01401 - cin X

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Dal blog di Daniele Luttazzi. www.danieleluttazzi.it

martedì, dicembre 13, 2005

Epizoo


Un epizoo è un "organismo che vive su un animale senza esserne parassita" (cit. dizionario De Mauro, Paravia). Epizoo è anche il nome di un esoscheletro indossato dallo spagnolo Marcel.lì Antunez Roca in una performance del 1994. L'apparecchio consiste in una serie di dispositivi meccatronici posizionati su zone considerate "erogene" (la bocca, le orecchie, il naso, i pettorali, e i glutei), controllati in remoto tramite un'interfaccia grafica. Roca sale sul palco, e al pubblico viene concessa la possibilità di decidere quale meccanismo azionare semplicemente col tocco di un mouse.
L'opera potrebbe essere considerata come un sadico gioco erotico impreziosito da un approccio inusuale, ma c'è qualcosa di più. Il potere, tra le mani degli spettatori, è asettico, freddo: ragionando analogicamente, si sposta un cursore, ma in verità si mette in moto uno strumento di piacere e di tortura. In ciò si può scorgere un interessante paradigma della realtà occidentale odierna, in cui il rapporto tra causa ed effetto, per via delle lontananze tra individui solo apparentemente interagenti, risulta talmente indiretto e arzigogolato (non lineare) da divenire indeterminabile.
Nel mondo globalizzato il nostro intorno di esistenza è assai minore (locale) rispetto alle ragioni e alle conseguenze del nostro vivere (globale): indossiamo scarpe fabbricate in Taiwan, incoraggiando lo sfruttamento di lavoratori privi di tutele sindacali; ci dichiariamo a favore di una guerra a migliaia di chilometri di distanza, ignorando cosa significhi dormire cullati dalle bombe; esprimiamo i nostri pareri su forum pubblici, esponendoci a confronti più o meno maieutici per gli interlocutori. A ben pensarci, non è un fatto inedito: lo sono invece le modalità. Entra in campo l'artificio, il costrutto tecnologico, che aumenta la portata delle nostre azioni e nel contempo le rende meno esplicite mano a mano che ci si allontana dalla sorgente.

venerdì, dicembre 02, 2005

Facciamo due conti

Le imprese attive iscritte alla Camera di Commercio di Napoli, nel settembre 2005, erano 216.130. Questo significa che vittime del racket sono 108.065 imprese.

Le imprese attive iscritte alla Camera di Commercio di Palermo, nel settembre 2005, erano 76.170. Questo significa che vittime del racket sono 60.936 imprese.

In soldoni, quanto pesa l'attività d'estorsione sulle imprese del Mezzogiorno? Secondo un'indagine Censis-Fondazione BNC del 2003, la mancata crescita del valore aggiunto delle imprese meridionali causata dalla presenza pervasiva della criminalità organizzata è valutabile in 7,5 miliardi di euro all'anno. La stima, interessando soltanto le imprese sotto i 250 addetti, fa riferimento alla metà, grosso modo, delle attività economiche meridionali e pertanto costituisce una cauta misura del fenomeno complessivo.

Ma non è finita qui.

L'ombra della criminalità sulle imprese non si manifesta solo in termini di mancata crescita economica ma anche di costi per dotarsi di sistemi di sicurezza, e questi ammontano a non meno di
4,3 miliardi di euro, pari al 3,1% del fatturato complessivo delle imprese considerate nella ricerca. Inoltre, il mancato valore aggiunto avrebbe potuto generare almeno 180.000 unità di lavoro regolari annue, ossia il 5,6% di quelle utilizzate attualmente dalle imprese fino a 250 addetti nel Mezzogiorno
.

Facendo una rapida somma, le mafie costano alle imprese del Sud 11.8 miliardi di euro all'anno. Questo, senza contare i costi sociali collegati.

Ci tengono per le palle, insomma.